Atrio di collegamento tra il fiume e la città, la Sala delle Colonne è qualificata da sei robuste colonne in breccia simili a quelle del portico aperto verso Torino. L’immagine attuale è esito dei cantieri che, nel Seicento, hanno trasformato il palazzo secondo i criteri della magnifcenza ducale, definendo uno spazio di relazione tra i grandi scaloni verso il Po, l’atrio da cui si accede allo scalone che permette di raggiungere la loggia e gli appartamenti del piano nobile e la corte, delimitata dai porticati e dai padiglioni, orientata verso il grande viale «piantumato a olmi» ancora riconoscibile.
Non è nota l’esatta configurazione del palazzo cinquecentesco acquistato da Emanuele Filiberto, ma è ipotizzabile fosse organizzato in più livelli con, al piano corrispondente a quello dell’attuale cortile, le cucine e una grande sala per il pallamaglio, un gioco di palla e racchetta in uso nelle corti di età moderna. La sala, o almeno una parte, potrebbe poi essere stata trasformata in Sala delle Colonne. L’esistenza dello spazio già nel XVI secolo è provato dalla data «1578», ancora leggibile, rinvenuta nel corso di restauri novecenteschi negli sguanci di aperture poi murate nei cantieri successivi.
Gli stessi lavori di restauro hanno restituito anche lacerti di affreschi a motivi vegetali che ornavano le pareti. Mancano, tuttavia, dati certi sul cantiere decorativo, ma sono noti alcuni pagamenti del 1576 a Alessandro Ardente, pittore faentino a servizio della corte sabauda negli anni Settanta del Cinquecento. La soluzione ora presente è datata alla trasformazione in atrio passante, quando sono chiuse le arcate che inquadravano ampie finestre e sono eliminati i disegni a racemi delle grottesche. Sono allora ricavate una serie di nicchie ovali ornate da stucchi, due nel portico e otto nella Sala delle Colonne, contenenti busti di imperatori romani, composti da parte della collezione ducale completata da artisti lacuali.
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